Medici di famiglia, FIMMG dice no alla dipendenza dal sistema sanitario
I medici di famiglia della provincia di Messina esprimono forte dissenso nei confronti della proposta di riforma della medicina generale, la quale potrebbe modificare il loro inquadramento da professionisti convenzionati a dipendenti del sistema sanitario.
Tale cambiamento, secondo la FIMMG Messina, metterebbe a rischio la prossimità, la domiciliarità e il rapporto fiduciario con i pazienti, principi cardine sanciti dalla legge 833.
Aurelio Lembo, segretario provinciale della Federazione Italiana dei Medici di Medicina Generale, ha inviato una lettera aperta ai sindaci e agli amministratori locali per sensibilizzarli sulla questione. L’obiettivo è difendere il ruolo attuale dei medici di medicina generale e contrastare un modello che, a suo dire, indebolirebbe l’assistenza territoriale.
“Le Case di Comunità non potranno garantire la prossimità delle cure come gli attuali ambulatori di quartiere e i presidi di Continuità Assistenziale”, ha dichiarato Lembo, evidenziando il rischio di compromettere la qualità del servizio. L’eventuale trasformazione del loro status giuridico, secondo il sindacato, ridurrebbe la capillarità dell’assistenza e comprometterebbe il legame di fiducia tra medico e paziente.
Secondo la FIMMG, l’attuazione del DM77 consentirà alla medicina generale di operare in sinergia con il personale sanitario nelle Case di Comunità senza intaccare i principi fondamentali dell’assistenza territoriale. “Il passaggio alla dipendenza – conclude Lembo – rischia di cancellare la libera scelta del medico di famiglia e determinare la chiusura degli studi medici, privando i cittadini di un servizio essenziale”.
Nella foto il segretario FIMMG Messina Aurelio Lembo.
Qui di seguito il testo integrale della lettera ai Sindaci
Egregio Sindaco,
Mi rivolgo alla Sua attenzione per esprimere la forte preoccupazione della nostra categoria in merito al futuro della Medicina Generale in Italia e al rischio di compromettere uno dei pilastri fondamentali del nostro Servizio Sanitario.
Abbiamo appreso sgomenti dalla stampa che è in corso un preoccupante dibattito sul passaggio del medico di famiglia alla dipendenza, fortemente voluto da alcune Regioni e all’attenzione del Ministero della Salute. Tale ipotesi, se fosse portata a termine, rischierebbe di introdurre profondi cambiamenti che andrebbero a svantaggio di tutta la popolazione, in particolare delle persone anziane e più fragili. Il passaggio alla dipendenza dei medici di famiglia, infatti, rischia di compromettere da un lato il rapporto di fiducia su cui si fonda il nostro rapporto di cura con l’assistito, dall’altro la capillarità della nostra presenza sul territorio. Lo scenario metterebbe in discussione la sopravvivenza dei nostri studi e favorirebbe il licenziamento del nostro personale di studio con il quale quotidianamente molti di noi gestiscono centinaia di richieste legate ai vostri bisogni di salute. E’ reale la possibilità che a seguito di un cambiamento di questo genere si arrivi ad un sistema che, nella depersonalizzazione del nostro ruolo, orienti e vincoli, in maniera esclusiva all’interno delle Case di Comunità, il lavoro del medico di famiglia, costringendo il paziente a consegnare le chiavi della propria salute non più al proprio medico di fiducia, ma al medico di turno in servizio, in una struttura distante dal proprio centro abitato, evento che rappresenta un rischio reale per l’accesso alle cure, la continuità assistenziale e il supporto umano di cui i cittadini hanno diritto.
Ciò deriva dalla falsa narrazione delle Regioni di un presunto rifiuto della categoria di poter svolgere la propria attività nelle Case di Comunità come previsto dal DM/77. Molti di noi, in diverse realtà regionali, esercitano già all’interno delle Case della Salute o delle prime Case di Comunità e il nuovo contratto dei Medici di Famiglia, siglato ad Aprile 2024, prevede già che possa essere svolta una quota di ore al loro interno in base al numero di assistiti in carico. Dobbiamo però constatare che, ad oggi, non sono ancora stati applicati dalle Regioni gli accordi regionali sottoscritti e molte regioni risultano inadempienti per la mancata stesura degli accordi regionali che recepirebbero la nuova disciplina contrattuale nazionale.
Il modello attuale, basato sulla convenzione che prevede la libera scelta del cittadino e l’autonoma organizzazione del medico di famiglia, libero professionista convenzionato, garantisce prossimità, continuità e personalizzazione delle cure, rendendo possibile un legame di fiducia fondamentale per la gestione delle patologie acute e croniche. Trasformare questa figura in un operatore dipendente, inserito in strutture lontane dai centri periferici, rischia di tradursi in un impoverimento dell’offerta garantita attualmente dal servizio sanitario, soprattutto nelle aree rurali e meno servite.
In un Paese di 7904 Comuni, popolato da quasi 60.000 Studi di Medicina Generale, come può l’assistenza concentrarsi in 1350 Case della Comunità?
A pagarne le conseguenze sarebbero soprattutto i nostri assistiti. A pagarne la spesa più cara sarebbero soprattutto le fasce sociali deboli, i fragili, gli ultimi.
Se la dipendenza è la soluzione della politica alla necessità della riorganizzazione della medicina del territorio, la stessa politica non deve aver capito che alla suddetta necessità abbiamo dato risposta esaustiva nell’Accordo Collettivo Nazionale della nostra categoria che ci vede pronti a garantire ruoli e compiti della nostra professione al servizio della comunità, anche nelle Case di Comunità.
Per queste ragioni, vogliamo con forza tutelare l’autonomia professionale dei medici di famiglia, preservando il rapporto fiduciario con i propri pazienti e garantendo l’accessibilità capillare alle cure.
Come amministratore locale sono certo che condividerà le nostre stesse preoccupazioni, soprattutto in relazione alla prossimità e capillarità dell’assistenza che oggi, pur in una situazione di grave carenza di personale, il Medico di Medicina Generale garantisce anche nelle aree più difficili e disperse.
Resto a disposizione, se lo ritiene utile, per un incontro per approfondire il tema e rappresentarle le nostre ragioni.
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