Risarcimento di 622mila euro ai familiari del bimbo deceduto
Verdetto del Tribunale Civile di Catania riconosce colpa medica nell’ospedale Cannizzaro per la morte di Antonio, causando dolore inestimabile alla famiglia e una sentenza contesa in appello.
L’ospedale Cannizzaro è stato condannato a risarcire la famiglia di un bimbo prematuro, Antonio, deceduto per colpa medica. La sentenza è stata impugnata, avviando un processo di secondo grado.
Il Tribunale civile di Catania ha emesso una sentenza condannando l’ospedale Cannizzaro per la morte di un neonato prematuro, Antonio, avvenuta nel luglio 2009. Il giudice ha riconosciuto una colpa medica da parte della struttura sanitaria, determinando la responsabilità nell’evento tragico.
Antonio è venuto alla luce alla 24esima settimana di gestazione, e sin da subito le sue condizioni di salute erano gravi. La madre si è presentata in ospedale con una copiosa perdita ematica, e si è ipotizzato che opportuni esami diagnostici avrebbero potuto evitare il parto prematuro causato dalla rottura delle membrane amniotiche.
I familiari del piccolo, assistiti dagli avvocati Dario Seminara, Giuseppe Maresca e Lisa Gagliano dello studio legale Seminara & Associati, hanno avanzato una richiesta di risarcimento dei danni presso il Tribunale civile. Il giudice Giovanni Cariolo ha riconosciuto che l’errore medico e le lesioni subite da Antonio hanno causato sofferenze fino al decesso, oltre a privarlo del normale sviluppo familiare.
La sentenza ha stabilito un risarcimento di 286mila euro sia per il padre che per la madre di Antonio, e una somma di 25mila euro per ciascuna delle sue sorelle. Inoltre, l’ospedale dovrà coprire le spese legali.
Tuttavia, l’ospedale Cannizzaro ha già presentato un appello contro la sentenza di primo grado, sostenendo che la responsabilità dovrebbe essere considerata extracontrattuale, con un termine di prescrizione di cinque anni. I difensori della famiglia del bimbo, al contrario, affermano che la responsabilità è di natura contrattuale, con un termine di prescrizione di dieci anni.
La vicenda è ora all’attenzione della Corte d’Appello per il processo di secondo grado, in attesa dell’epilogo.
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