Strage di Capaci, trentadue anni di lotta alla Mafia e memoria
Sono trascorsi trentadue anni dalla strage di Capaci. Il 23 maggio 1992, un attentato mafioso sconvolse l’Italia, colpendo servitori dello Stato. L’obiettivo era ridurre al silenzio lo Stato stesso, colpendo lavoratori inermi. La mafia non riuscì nel suo intento, poiché l’orrore e il dolore suscitato dalle immagini dei corpi dilaniati dall’esplosivo, e dalle lamiere contorte delle auto su cui viaggiavano Giovanni Falcone, sua moglie e la scorta, risvegliarono le coscienze addormentate.
Questo evento fece emergere un forte senso di ribellione e giustizia, che ancora oggi costituisce la base della lotta alla mafia.
Sebbene l’organizzazione mafiosa sia quotidianamente contrastata dalle forze dell’ordine e dall’Antimafia, la mentalità mafiosa continua a diffondersi indisturbata in molti ambiti. Questa mentalità, sebbene spesso mascherata, contamina ciò che tocca, avvelenando le coscienze e uccidendo la dignità.
Essa rappresenta un modo di pensare, di esprimersi e di comunicare che prospera tra chi non la denuncia, la sopporta o non ne è consapevole. La mentalità mafiosa deve essere smascherata, denunciata, combattuta e definitivamente sconfitta. Questo è un aspetto fondamentale della lotta alla mafia.
Il giudice Giovanni Falcone, prima di essere ucciso nella strage di Capaci, affermò: “Si può benissimo avere una mentalità mafiosa senza essere un criminale”. Le sue parole risuonano ancora oggi in coloro che rifiutano di lasciarsi corrompere. Questo è stato ricordato dalla senatrice di Italia Viva, Dafne Musolino, in occasione della commemorazione della strage di Capaci.
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